Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

****Loro sono coloro che annunciano il Giudizio Universale, non sono nè Dei nè uomini..loro sono Angeli ....

 
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Naira Elyas Hilvanoe

Ultimo Aggiornamento: 29/09/2009 22:00
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Post: 4
Città: ALESSANDRIA
Età: 32
Sesso: Maschile
03/09/2009 18:22

Naira Elyas Hilvanoe



Era buio quando, per la prima volta, vidi il mondo. E quando colsi la vera essenza di quel linguaggio ancora sconosciuto, che prima m’appariva come soffocato.
Nonostante tutto però seppi riconoscere l’orrore nel tono di quelli che presenziarono alla mia nascita. Il terrore di quelle due ali corvine che mi classificavano come diverso, come maledetto.
Eppure potevo respirare, potevo muovermi come ogni altro piccolo Angelo.
Potevo vedere, anche se i miei occhi furono frutto del gioco del Fato, evidentemente in vena di crudeltà quella notte, poiché estremamente legati al cambiamento del clima.
Sono nato malvagio, può essere questa una mia colpa?


○○○



Naira Elyas Hilvanoe, figlio di Dafne e Quilian Hilvanoe, due Angeli bianchi. Non fu certo difficile, nemmeno per me, allora ancor cucciolo, comprendere il significato degli sguardi sorpresi, spaventati ed irati degli abitanti della Corte di Yaman Kalei, Regno delle piume candide e senza macchia, a cui seguiva quel profondo e sommesso chiacchiericcio ogni volta che venivo mostrato al pubblico.
Paese riconducibile al Paradiso, immacolato e provvisto di ogni minima comodità per i suoi cittadini buoni. Ed io, nonostante le mie provenienze, non ero buono. Non avevo il colore giusto per esserlo.
‘Il Corvo’ venni detto visto il mio piumaggio che fu letto come maledizione, gettata forse dagli Dei ostili a tanta ricchezza vantata dal Regno.
Qualche anno di fanciullo trascorsi in tali luoghi, diffamato ed isolato da ogni congregazione o comunità che fosse. Taciturno e scontroso, pur con la stretta parentela, che aveva scelto di rischiare tenendomi tra le mura familiari ed andando contro ogni commento e superstizione, tenni per me la mia prematura capacità di comunicare correttamente attraverso il verbo, corrotto dalle tante ingiurie che avevo udito vergermi incontro. D’altra parte, a che serve parlare se nessuno ti ascolta?
All’età in cui gli angioletti bravi diventano grandi abbastanza per imparar l’arte del combattimento, del mistico o del portamento adatto ad una casata d’alto rango, io venni chiamato al Gran Palazzo, la sfarzosità del tutto in sintonia con l’ambiente che ne circondava i marmi elaborati.
Al mio seguito, i complici di tal funesto accaduto furono nominati a testimoniare ed a pagare per il tradimento commesso or che più non necessitavo di cure per assicurar la mia stretta sopravvivenza, voluta dal buon cuore dei Giudici Regali. Esatto, buoni e puri anche nelle ostilità.
Giunsi quindi al cospetto di colui che si faceva chiamare Re, circondato di Guardie dall’aria superba e poco credibili in quanto giustizieri. Commisi però l’errore imperdonabile di non chinare il capo di fronte a colui che più di chiunque altro voleva protegger la Corte da me, incurante del fatto che non sapessi reggere in mano un misero ferro. Orrore pari, se non più grave di quello già veduto e ormai abituale, fece trasalire tutti i presenti, genitori compresi. Tentarono invano di riparare al danno, cercando di chinare alla svelta quel viso cui gli occhi, allora dorati, rimanevan fissi sul volto del Sovrano, senza accenno di timore, forse per incoscienza, forse per pura follia.
Fu questione di attimi ed ogni possibile riscatto non fu più ammesso dal viso contratto e paonazzo del millenario.
Conobbi presto l’umidità delle carceri rose dal tempo insieme ai miei creatori.
Dopo due giorni, a giudicare dalla variazione di luce alternatasi tra le fessure strette delle misere griglie di aerazione, altre due candide Guardie mi portarono al cospetto dei Giudici non più magnanimi.
Alla base del collo, il tocco rovente di un ferro arso m’impresse un simbolo runico che non saprei tutt’ora decifrare, ma che sicuramente doveva esser stato suggerito dalla mia malacondotta. Mio padre e mia madre non subirono la stessa sorte, ma insieme a me furono nuovamente ricondotti ai piedi lustri di Re Yaman.

“Questo maledetto non può più stare tra noi, l’incolumità del Regno e dei suoi abitanti è compromessa e ciò non deve accadere oltremodo. Costui si deve allontanare e voi, famiglia Hilvanoe, dovete scegliere se redimervi per restare o se lasciare a vostra volta queste terre per sempre..”

Queste le parole del Sovrano, la cui minaccia esplicita fece breccia negl’iridi d’entrambe i miei protettori, per istanti infiniti a me rivolti, come in contemplazione. Fui io stesso a troncar la conversazione ormai troppo a lungo durata, svelando all’atmosfera tesa e silenziosa quelle che furono le mie prime parole.

“State dove siete, non mi servite.. non più..”

Il mio commiato non rese meno immobili quelle che già parevano statue ben arredanti l’edificio, prima che la mia partenza senza bagaglio si lasciasse alle spalle quel luogo resuscitato da una fiaba che da me non ebbe più altra parola.


○○○




Se sono sbagliato, mi comporto da persona sbagliata.
Se sono maledetto, maledirò ogni bontà e la condannerò a subire l’Inferno.
Se sono l’unico a portare il segno del maleficio, mi vanterò del mio peccato e ne farò una ragione di vita.
Se il Nero non mi ha ripudiato come il Bianco, gli sarò fedele in eterno.
Se sono solo, sarò solo per sempre.




La mia filosofia di vita andò crescendo ad ogni passo, durante quei viaggi in compagnia della sola mia ombra, in una piacevole retrocessione al selvaggio che mi procurò un’instabilità permanente in quanto a carattere.
Gli occhi continuavano a cambiare colore, le ali continuavano ad essere nere. E la mia anima ancora di più.
Non so dire di preciso quante terre attraversai, su quali mi soffermai, ma son sicuro di aver lasciato la mia traccia, anche minima, in ognuna di esse.
Non era più la ragione ad accompagnare le mie gesta, nemmeno il sentimento di rivendicazione, forse neanche esistente nella mia testa.
Soltanto una lieta e forte devozione a quella divinità che in tal maniera mi aveva voluto e che probabilmente per me aveva progetti meno programmati, forse migliori.
Non provai odio per la razza che mi aveva abbandonato, ben sapendo che invece potevo trarre vantaggio da quell’immortalità e grandezza che degli Angeli era motivo di giusta superbia da rivendicare nei confronti delle razze indegne.
Mi imbattei addirittura in una capacità insolita, un legame particolare con l’Aria, imprevedibile e libera quanto lo ero io.
Col tempo e con l’addestramento, appresi l’abilità di influenzarne movimenti e volontà, tanto che riuscii a far della sua forza la mia arma e la mia difesa.
Non sempre però si rivelava necessario il suo utilizzo, poiché scoprii che per arrecar danno - non compito, quanto dovere richiesto dall’animo - era sufficiente far leva sull’abilità nel sedurre incaute donne. Quello che per loro era un affascinante e misterioso uomo dal fare tenebroso, era per me leggera alterazione della mia vera natura, celata soltanto dalla sparizione degli arti piumati. Il che mi permetteva di divenire ai loro occhi adoranti un perfetto ed incantevole mortale.
Di tutte le razze ne ebbi tra le mani ma, a tutti gli effetti, le umane si dimostrarono le prede più facili.
Non era mio scopo quelle di inviarle dritte dritte tra le braccia della Nera Signora, che di nulla m’avrebbe ripagato, difatti soltanto qualcuna fu afflitta da tal destino, non per mia volontà ma per la mia essenza incontrollata.
Mi dilettai invece nel crear discordia, paura, malcontento e quant’altro, preferendo senza dubbio mali incorporei, quelli legati allo spirito, incurabili, insomma. E devo dire che mi riusciva piuttosto bene..


○○○



Millenni passarono, vidi il mondo cambiare senza mutare con lui, poiché la mia pelle e la mia forma rimasero quelle di un aitante venticinquenne.
Le mie poche arti s’affinarono, fino a divenir flagello per quegli sfortunati che avevan appresso il Fato avverso, deciso a stuzzicare il mio interesse e a spandere la mia fama di malefico.
Degno erede di Lucifero, così almeno compresi che si chiamasse la mia divinità oscura.
La beltà e l’elemento in mio possesso si contendevano man mano le mie vittime a seconda della gravità dei miei incontri: avanzai il mio nome attraverso il gentil sesso e mi difesi dagli attacchi di cittadini male o ben armati, stanchi dei miei azzardi, attraverso l’affinità con l’Aria.
Mai, sul mio cammino, ebbi modo di incontrare un mio simile.
Addirittura mi venne raccontato di credenze per cui gli Angeli divenivan protettori dei deboli umani che li nominavano loro ‘Custodi’.
Mi spinsi ad oriente, senza una meta precisa, quando finalmente ebbi modo di sentir parlare di uomini alati, temuti ed a volte spietati che avean creato un loro Regno nelle Terre dell’Est.
Non che volessi nuovamente unirmi ad una dinastia che magari ulteriormente mi avrebbe rifiutato, ma necessitavo di saperne di più di quanto io stesso potessi essere.
E fu così che capii di non essere l’unico, di non essere il solo a possedere il dono e l’eredità della divinità del Male.
Ne vidi altri, molti altri, seppur mi tenni lontano da loro. Non potevo sapere cosa fossero in grado di fare, se come me sentissero il pregio di esser maledetti e se possedessero il comando di un elemento.
Non li vidi mai all’opera, ma nonostante tutto presi la mia decisione.
Mi sarei stabilito in quelle terre e sarei rimasto solo.. ma non del tutto..


Naira Elyas Hilvanoe
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03/09/2009 19:56

//aggiungo le descrizioni!

Allineamento : Legale malvagio tendente caotico malvagio (dovuto all'instabilità psicologica)

Corporatura :

Capelli : bronzei
Occhi : policromi (variano col clima e con la temperatura)
Segni particolari : runa marchiata a fuoco alla base del collo
Altezza : 1.84 m
Peso : 79 kg
Ali : nere

Psicologia : mentalità estremamente instabile e per alcuni versi contorta. Non gradisce compagnie prolungate, preferendo quelle dalla durata determinata e breve. Misterioso e nero d'anima, fa leva sul bell'aspetto per arrivare al suo vero scopo.

Età : 25 anni umani

Naira Elyas Hilvanoe
03/09/2009 21:44

Riassumendo:

BG Approvato

Skill approvate:

- Autocura ferite minori
- Resistenza al sonno ed ai veleni

Skill Bonus:

- Predilezione dell'elemento (Aria) (liv.1)
- Canto dell'Angelo (liv.1)

Appunti:

- Nessun problema per l'allineameno Legale/Malvagio tendente a Caotico/Malvagio. E' giustificato dall'instabilità mentale del PG. Approvato.

- Iridi policrome approvate.

- La runa marchiata a fuoco alla base del collo non sortisce effetti magici sul PG, ed il suo significato rimane ignoto così come lo era in passato, a meno che non vengano giocate delle role relative ad un'eventuale comprensione.

- Carica di corte: Cittadino delle Terre del Sole
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04/09/2009 14:46

// riposto il bg con la piccola modifica richiesta;)

Naira Elyas Hilvanoe




Era buio quando, per la prima volta, vidi il mondo. E quando colsi la vera essenza di quel linguaggio ancora sconosciuto, che prima m’appariva come soffocato.
Nonostante tutto però seppi riconoscere l’orrore nel tono di quelli che presenziarono alla mia nascita. Il terrore di quelle due ali corvine che mi classificavano come diverso, come maledetto.
Eppure potevo respirare, potevo muovermi come ogni altro piccolo Angelo.
Potevo vedere, anche se i miei occhi furono frutto del gioco del Fato, evidentemente in vena di crudeltà quella notte, poiché estremamente legati al cambiamento del clima.
Sono nato malvagio, può essere questa una mia colpa?



○○○




Naira Elyas Hilvanoe, figlio di Dafne e Quilian Hilvanoe, due Angeli bianchi. Non fu certo difficile, nemmeno per me, allora ancor cucciolo, comprendere il significato degli sguardi sorpresi, spaventati ed irati degli abitanti della Corte di Yaman Kalei, Regno delle piume candide e senza macchia, a cui seguiva quel profondo e sommesso chiacchiericcio ogni volta che venivo mostrato al pubblico.
Paese riconducibile al Paradiso, immacolato e provvisto di ogni minima comodità per i suoi cittadini buoni. Ed io, nonostante le mie provenienze, non ero buono. Non avevo il colore giusto per esserlo.
‘Il Corvo’ venni detto visto il mio piumaggio che fu letto come maledizione, gettata forse dagli Dei ostili a tanta ricchezza vantata dal Regno.
Qualche anno di fanciullo trascorsi in tali luoghi, diffamato ed isolato da ogni congregazione o comunità che fosse. Taciturno e scontroso, pur con la stretta parentela, che aveva scelto di rischiare tenendomi tra le mura familiari ed andando contro ogni commento e superstizione, tenni per me la mia prematura capacità di comunicare correttamente attraverso il verbo, corrotto dalle tante ingiurie che avevo udito vergermi incontro. D’altra parte, a che serve parlare se nessuno ti ascolta?
All’età in cui gli angioletti bravi diventano grandi abbastanza per imparar l’arte del combattimento, del mistico o del portamento adatto ad una casata d’alto rango, io venni chiamato al Gran Palazzo, la sfarzosità del tutto in sintonia con l’ambiente che ne circondava i marmi elaborati.
Al mio seguito, i complici di tal funesto accaduto furono nominati a testimoniare ed a pagare per il tradimento commesso or che più non necessitavo di cure per assicurar la mia stretta sopravvivenza, voluta dal buon cuore dei Giudici Regali. Esatto, buoni e puri anche nelle ostilità.
Giunsi quindi al cospetto di colui che si faceva chiamare Re, circondato di Guardie dall’aria superba e poco credibili in quanto giustizieri. Commisi però l’errore imperdonabile di non chinare il capo di fronte a colui che più di chiunque altro voleva protegger la Corte da me, incurante del fatto che non sapessi reggere in mano un misero ferro. Orrore pari, se non più grave di quello già veduto e ormai abituale, fece trasalire tutti i presenti, genitori compresi. Tentarono invano di riparare al danno, cercando di chinare alla svelta quel viso cui gli occhi, allora dorati, rimanevan fissi sul volto del Sovrano, senza accenno di timore, forse per incoscienza, forse per pura follia.
Fu questione di attimi ed ogni possibile riscatto non fu più ammesso dal viso contratto e paonazzo del millenario.
Conobbi presto l’umidità delle carceri rose dal tempo insieme ai miei creatori.
Dopo due giorni, a giudicare dalla variazione di luce alternatasi tra le fessure strette delle misere griglie di aerazione, altre due candide Guardie mi portarono al cospetto dei Giudici non più magnanimi.
Alla base del collo, il tocco rovente di un ferro arso m’impresse un simbolo runico che non saprei tutt’ora decifrare, ma che sicuramente doveva esser stato suggerito dalla mia malacondotta. Mio padre e mia madre non subirono la stessa sorte, ma insieme a me furono nuovamente ricondotti ai piedi lustri di Re Yaman.

“Questo maledetto non può più stare tra noi, l’incolumità del Regno e dei suoi abitanti è compromessa e ciò non deve accadere oltremodo. Costui si deve allontanare e voi, famiglia Hilvanoe, dovete scegliere se redimervi per restare o se lasciare a vostra volta queste terre per sempre..”

Queste le parole del Sovrano, la cui minaccia esplicita fece breccia negl’iridi d’entrambe i miei protettori, per istanti infiniti a me rivolti, come in contemplazione. Fui io stesso a troncar la conversazione ormai troppo a lungo durata, svelando all’atmosfera tesa e silenziosa quelle che furono le mie prime parole.

“State dove siete, non mi servite.. non più..”

Il mio commiato non rese meno immobili quelle che già parevano statue ben arredanti l’edificio, prima che la mia partenza senza bagaglio si lasciasse alle spalle quel luogo resuscitato da una fiaba che da me non ebbe più altra parola.



○○○






Se sono sbagliato, mi comporto da persona sbagliata.
Se sono maledetto, maledirò ogni bontà e la condannerò a subire l’Inferno.
Se sono l’unico a portare il segno del maleficio, mi vanterò del mio peccato e ne farò una ragione di vita.
Se il Nero non mi ha ripudiato come il Bianco, gli sarò fedele in eterno.
Se sono solo, sarò solo per sempre.





La mia filosofia di vita andò crescendo ad ogni passo, durante quei viaggi in compagnia della sola mia ombra, in una piacevole retrocessione al selvaggio che mi procurò un’instabilità permanente in quanto a carattere.
Gli occhi continuavano a cambiare colore, le ali continuavano ad essere nere. E la mia anima ancora di più.
Non so dire di preciso quante terre attraversai, su quali mi soffermai, ma son sicuro di aver lasciato la mia traccia, anche minima, in ognuna di esse.
Non era più la ragione ad accompagnare le mie gesta, nemmeno il sentimento di rivendicazione, forse neanche esistente nella mia testa.
Soltanto una lieta e forte devozione a quella divinità che in tal maniera mi aveva voluto e che probabilmente per me aveva progetti meno programmati, forse migliori.
Non provai odio per la razza che mi aveva abbandonato, ben sapendo che invece potevo trarre vantaggio da quell’immortalità e grandezza che degli Angeli era motivo di giusta superbia da rivendicare nei confronti delle razze indegne.
Mi imbattei addirittura in una capacità insolita, un legame particolare con l’Aria, imprevedibile e libera quanto lo ero io.
Col tempo e con l’addestramento, appresi l’abilità di influenzarne movimenti e volontà, tanto che riuscii a far della sua forza la mia arma e la mia difesa.
Non sempre però si rivelava necessario il suo utilizzo, poiché scoprii che per arrecar danno - non compito, quanto dovere richiesto dall’animo - era sufficiente far leva sull’abilità nel sedurre incaute donne. Quella che per loro era un' affascinante e misteriosa creatura dal fare tenebroso, era per me leggera alterazione della mia vera natura.
Di tutte le razze ne ebbi tra le mani ma, a tutti gli effetti, le umane si dimostrarono le prede più facili.
Non era mio scopo quelle di inviarle dritte dritte tra le braccia della Nera Signora, che di nulla m’avrebbe ripagato, difatti soltanto qualcuna fu afflitta da tal destino, non per mia volontà ma per la mia essenza incontrollata.
Mi dilettai invece nel crear discordia, paura, malcontento e quant’altro, preferendo senza dubbio mali incorporei, quelli legati allo spirito, incurabili, insomma. E devo dire che mi riusciva piuttosto bene..



○○○




Millenni passarono, vidi il mondo cambiare senza mutare con lui, poiché la mia pelle e la mia forma rimasero quelle di un aitante venticinquenne.
Le mie poche arti s’affinarono, fino a divenir flagello per quegli sfortunati che avevan appresso il Fato avverso, deciso a stuzzicare il mio interesse e a spandere la mia fama di malefico.
Degno erede di Lucifero, così almeno compresi che si chiamasse la mia divinità oscura.
La beltà e l’elemento in mio possesso si contendevano man mano le mie vittime a seconda della gravità dei miei incontri: avanzai il mio nome attraverso il gentil sesso e mi difesi dagli attacchi di cittadini male o ben armati, stanchi dei miei azzardi, attraverso l’affinità con l’Aria.
Mai, sul mio cammino, ebbi modo di incontrare un mio simile.
Addirittura mi venne raccontato di credenze per cui gli Angeli divenivan protettori dei deboli umani che li nominavano loro ‘Custodi’.
Mi spinsi ad oriente, senza una meta precisa, quando finalmente ebbi modo di sentir parlare di uomini alati, temuti ed a volte spietati che avean creato un loro Regno nelle Terre dell’Est.
Non che volessi nuovamente unirmi ad una dinastia che magari ulteriormente mi avrebbe rifiutato, ma necessitavo di saperne di più di quanto io stesso potessi essere.
E fu così che capii di non essere l’unico, di non essere il solo a possedere il dono e l’eredità della divinità del Male.
Ne vidi altri, molti altri, seppur mi tenni lontano da loro. Non potevo sapere cosa fossero in grado di fare, se come me sentissero il pregio di esser maledetti e se possedessero il comando di un elemento.
Non li vidi mai all’opera, ma nonostante tutto presi la mia decisione.
Mi sarei stabilito in quelle terre e sarei rimasto solo.. ma non del tutto..


Naira Elyas Hilvanoe
29/09/2009 21:51

Presa visione delle modifiche effettuate.
29/09/2009 22:00

Cambio di Razza

Naira è stato vampirizzato: Role di abbraccio approvata (forum ufficiale)

Annotazioni:

- Il PG perde tutte le skill di razza angeliche
- Il background approvato in questo forum, verrà mantenuto e ripostato nel forum dei Vampiri
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